Sulle tracce dei ghiacciai - Alpi 2020

La spedizione “Alpi 2020” è suddivisa in due tappe, dedicate rispettivamente al versante italiano (2019-2020) e ai versanti francese, svizzero, austriaco e sloveno (2021).

Si è mossa su tre Volvo plug-in hybrid la spedizione Alpi 2020, l’ultima tappa del progetto Sulle tracce dei ghiacciai. Attraverso il sostegno all’iniziativa, Volvo ha confermato una volta di più il proprio impegno a favore di Ambiente e Sostenibilità.

La spedizione “Alpi 2020” ha prodotto risultati molto importanti sia sul fronte delle ricadute mediatiche sia sul fronte delle istituzioni scientifiche coinvolte e dei ghiacciai monitorati.

Con la spedizione internazionale prevista nei mesi di agosto e settembre 2021, si concluderà definitivamente il lavoro sul campo del progetto Sulle tracce dei ghiacciai, iniziato nel 2009. Il team, composto da fotografi, registi e ricercatori, si muoverà lungo un ampio itinerario con l’obiettivo di completare la realizzazione del più consistente archivio di confronti fotografici sui ghiacciai alpini. Scienziati provenienti da istituti di ricerca e università internazionali effettueranno misurazioni sul campo per fornire un ampio quadro sullo stato di salute delle masse glaciali. Per gli spostamenti il gruppo si avvarrà esclusivamente di mezzi ecosostenibili.

La ricerca iconografica delle immagini storiche, iniziata da oltre tre anni, ha coinvolto oltre 150 archivi di musei, fondazioni, società geografiche e biblioteche europee.

I NUMERI IN SINTESI

121 uscite su Tv, Radio, carta stampata e web 27 ghiacciai fotografati e monitorati, suddivisi su 6 regioni 23 ricercatori coinvolti sul campo afferenti a 10 diverse istituzioni scientifiche 8 milioni circa gli ascolti tra principali Tv e Radio 500 circa mila visualizzazioni delle pagine social

Diario dalla spedizione

“Sulle tracce dei ghiacciai - Alpi 2020 e missione Alpi 2021”

Video report

Video report 1 - Parte 1

Sulle tracce dei ghiacciai - Alpi 2020

Video report 1 - Parte 2

Sulle tracce dei ghiacciai - Alpi 2020

Video report 2

Sulle tracce dei ghiacciai - Alpi 2020

Video report 3

Sulle tracce dei ghiacciai - Alpi 2020

Video report 4

Ecrins e Monte Bianco: uno spettacolo glaciale perso per sempre

Video report 5

Il Bernina, il 4000 più orientale delle Alpi e il ritiro impietoso dei suoi ghiacciai

In viaggio verso la Valle d’Aosta

Val Ferret

Val Veny

Val Veny

Valle di Gressoney

Passo Salati e Indren

Colle Bettaforca e Vetta Palon de Resy

Valnontey, Alpe Money

Valnontey, Casolari di Herbetet

Vetta del Breithorn

Macugnaga – Joderhorn

Macugnaga – Ghiacciaio Belvedere

Roma

Ecrins

Monte Bianco

Bernina

Sulle tracce dei ghiacciai
Sulle tracce dei ghiacciai
Sulle tracce dei ghiacciai
Sulle tracce dei ghiacciai
Sulle tracce dei ghiacciai
Sulle tracce dei ghiacciai
Sulle tracce dei ghiacciai
Sulle tracce dei ghiacciai
Sulle tracce dei ghiacciai
Sulle tracce dei ghiacciai
Sulle tracce dei ghiacciai
Sulle tracce dei ghiacciai
Sulle tracce dei ghiacciai
Sulle tracce dei ghiacciai
Sulle tracce dei ghiacciai
Sulle tracce dei ghiacciai
Sulle tracce dei ghiacciai
Sulle tracce dei ghiacciai
Sulle tracce dei ghiacciai
Sulle tracce dei ghiacciai
Sulle tracce dei ghiacciai
Sulle tracce dei ghiacciai
Sulle tracce dei ghiacciai
Sulle tracce dei ghiacciai
Sulle tracce dei ghiacciai
Sulle tracce dei ghiacciai
Sulle tracce dei ghiacciai
Sulle tracce dei ghiacciai
Sulle tracce dei ghiacciai
Sulle tracce dei ghiacciai
Sulle tracce dei ghiacciai
Sulle tracce dei ghiacciai
Sulle tracce dei ghiacciai
Sulle tracce dei ghiacciai

24 luglio 2020

24 luglio – In viaggio verso la Valle D’Aosta

Finalmente si parte! Prima tappa a Milano per incontrare tutti i ricercatori dell’Università Statale, poi a Torino dove, presso il Museo Nazionale della Montagna, è in corso la mostra “Sulle tracce dei ghiacciai” (fino al 30 agosto). Da questo luogo, che è la sede storica del Club Alpino Italiano, organizziamo una partenza simbolica per raggiungere Courmayeur, in Valle d’Aosta, dove la spedizione è entrata nel vivo.

25 luglio 2020

25 luglio – Val Ferret

Ore 8:30. Saliamo al rifugio Elena dove incontriamo Philip Deline, geomorfologo dell’Università Savoia del Monte Bianco, fra i più esperti della zona e grande appassionato del progetto, che ci accompagnerà durante le nostre salite nei giorni successivi. Scopo della prima missione è la ripetizione dello scatto storico di Jules Brocherel del ghiacciaio Pré de Bar del 1920. Circa 200 metri sopra il rifugio godiamo di un affaccio meraviglioso sul ghiacciaio Pré de Bar, o meglio di quel che ne resta. Proprio qui il fotografo naturalista, esattamente 100 anni fa, aveva scelto il suo punto di scatto. Lo scorso anno durante la pre-spedizione avevo già ripetuto la fotografia storica ma soltanto in fase di montaggio mi sono accorto di non aver trovato il punto esatto di scatto. Così quest’anno sono tornato per trovare l’esatta prospettiva originale.

26 luglio 2020

26 luglio – Val Veny

L’obbiettivo del giorno è il ghiacciaio del Miage. Lungo oltre 10 chilometri è tra i più imponenti ed estesi ghiacciai neri delle Alpi. La parte inferiore infatti è completamente ricoperta da detriti rocciosi che in parte lo preservano dall’irraggiamento solare e quindi dalla fusione. In questo caso ho selezionato alcune fotografie su lastra 13x18 cm sempre di Jules Brocherel, perfettamente mantenute grazie all’importante lavoro di archiviazione del fondo Brell della Regione Valle D’Aosta. La salita per ritrovare i punti fotografici storici non è faticosa: ho infatti preferito selezionare fotografie che hanno un punto di vista molto angolato sul ghiacciaio per evidenziare la perdita del suo spessore rispetto alle morene laterali che negli anni sono rimaste quasi del tutto invariate. Dai confronti abbiamo potuto constatare quanto il ghiacciaio sia ormai collassato rispetto alle sue morene. Anche il glaciologo Davide Fugazza (dell’Università di Milano) ci ha confermato che negli ultimi decenni il ghiacciaio ha rallentato molto la sua velocità di flusso, segno evidente di una riduzione di massa nella zona di accumulo. Un’ulteriore conferma è arrivata dalla ripetizione di un’altra immagine storica di Brocherel della falesia glaciale del laghetto del Miage: dalla posizione dello scatto si evince infatti una significativa riduzione di spessore del ghiacciaio nella zona frontale.

27 luglio 2020

27 luglio – Val Veny

Il terzo giorno siamo impegnati sempre in Val Veny dove, insieme a Philip, raggiungiamo con le auto la valle sopra al rifugio Elisabetta, rigorosamente in modalità elettrica per minimizzare il nostro impatto sull’ambiente e il disturbo alla quiete delle valle. Questo ci ha permesso di raggiungere in soli trecento metri di dislivello un piccolo altipiano da cui riesco a ripetere un’importante fotografia della collezione di Agostino Ferrari (direttore della rivista del CAI tra fine ‘800 e inizio ‘900) del ghiacciaio Lex Blanche che a fine ‘800 scendeva fino a immettersi in Val Veny. Il ghiacciaio oggi si è ritirato di oltre un chilometro lasciando scoperte alcune placche rocciose arrotondate e un paesaggio senza dubbio meno affascinante rispetto a quello che appariva agli occhi dei nostri predecessori.

29 luglio 2020

29 luglio – Valle di Gressoney

Oggi è un giorno speciale. Da molti anni avevo promesso alle mie figlie, Miriam e Lara, che le avrei coinvolte nella spedizione “Alpi 2020”. E così è stato. Prima di iniziare l’escursione abbiamo guardato insieme la carta topografica della zona e le immagini da ripetere; abbiamo fatto ipotesi sui possibili luoghi da raggiungere e gli orari più adatti. Due giovani esploratrici fotografe! Devo ammettere che averle trovate così appassionate nel pianificare con me l’escursione mi ha quasi commosso. Iniziata la salita verso le sorgenti del Lys, lungo la splendida valle di Gressoney alle pendici del Monte Rosa, ho chieste alle mie figlie di guidarci per provare a trovare il punto fotografico da cui erano state scattate le foto oltre 120 anni fa. Anche per le bambine è stata una grande emozione, una vera avventura; una sorta di grande “caccia al tesoro” che fino ad oggi avevano sempre vissuto solo nei miei racconti. \n L’individuazione del primo luogo è stata una vera scoperta: usciti da un bosco di larici e superato un piccolo dosso, le bambine hanno avvistato la baita raffigurata nella foto storica che si presentava identica ad allora. Appena vista, si sono messe a correre gridando “E’ proprio quella!”, constatando che tutto era rimasto invariato: le finestre, la scala, la roccia accanto alla casa… Quando però si sono fermate mi hanno detto: “Papà, è questo il punto, siamo sicure! E’ tutto uguale, tutto combacia. Però ci sono molti più alberi e il ghiacciaio è completamente sparito.” Infatti nella valle, dove 120 anni fa arrivava la fronte del ghiacciaio del Lys, è cresciuta una fitta foresta di larici. La giornata è proseguita così, rincorrendo il tempo per raggiungere il luogo dello scatto nello stesso orario in cui era stato realizzato. “Papà vieni qui! No è più su! No dobbiamo scendere, qui è troppo in alto! Ma le creste non combaciano!”. Non posso nascondere l’emozione che ho provato vivendo il loro entusiasmo per potermi finalmente affiancare in una tappa del progetto che ha accompagnato le nostre vite fin dalla loro prima infanzia. Durante la lunga giornata siamo riusciti a ripetere tre fotografie del ghiacciaio del Lys di Jules Brocherel, Vittorio Sella e Umberto Monterin. Quello che rimarrà impresso per sempre nella mia memoria è il ricordo di una giornata di condivisione con le mie figlie, una sorta di passaggio di consegne fra due generazioni unite simbolicamente per testimoniare gli effetti del cambiamento climatico.

30 luglio 2020

30 luglio – Passo Salati e Indren

Questa mattina siamo partiti ben ristorati dalla squisita accoglienza degli amici Janine e Giorgio, proprietari e gestori dello Chalet du Lys. La giornata è stata molto lunga ma meno faticosa rispetto ai giorni passati avendo potuto utilizzare le funivie fino al Passo dei Salati per raggiungere il Corno del Camoscio a 3026 metri. Da questa vetta ho ripetuto una fotografia di Vittorio Sella dei ghiacciai Bors e Indren, scattata nel settembre 1892. Nonostante la presenza di un esteso innevamento, tipico del mese di luglio, la riduzione volumetrica dei ghiacciai è particolarmente evidente. Subito sotto il Corno del Camoscio raggiungiamo l’Istituto Mosso dove Umberto Monterin, uno dei pionieri della climatologia alpina, ha sviluppato i suoi primi studi in alta quota. Nelle vicinanze dell’edificio ho ripetuto un’immagine storica di A. G. Wehrli. A metà mattinata abbiamo raggiunto i ricercatori del Dipartimento di Ingegneria dell'Ambiente, del Territorio e delle Infrastrutture (DIATI) del Politecnico di Torino con cui abbiamo avviato un’importante collaborazione per la realizzazione di modelli tridimensionali dei ghiacciai, attraverso tecniche fotogrammetriche, da utilizzare per studi scientifici e attività divulgative.

31 luglio 2020

31 luglio – Colle Bettaforca e vetta Palon de Resy

Anche oggi siamo partiti da Staffal molto presto. Saliti in funivia al Colle Bettaforca, ci siamo affacciati verso la Val d’Ayas e abbiamo individuato il percorso più breve per raggiungere la vetta del Palon de Resy, da cui avevamo ipotizzato che Umberto Monterin, nel 1920, e alcuni fotografi dell’Istituto Geografico Militare, nel 1934, avessero scattato due fotografie particolarmente utili per un confronto con lo stato attuale del ghiacciaio del Verra. Per entrambe le fotografie, come per tutte le fotografie selezionate per la spedizione, ho la certezza di poter utilizzare i negativi originali su lastra in vetro, così da poter effettuare una riproduzione ad alta risoluzione. Arrivati a pochi metri dalla vetta d’un tratto si è svelata una meravigliosa vista sul ghiacciaio, le cui morene, residuo dell’espansione del ghiacciaio durante la Piccola Età Glaciale, sono a mio avviso tra le più belle ed eleganti di tutte le Alpi. Dopo aver verificato la prospettiva delle fotografie storiche, ho deciso di posizionare il mio cavalletto Gitzo esattamente sotto la croce che segna la cima e da qui ho scattato le fotografie per il confronto. Il ghiacciaio era già arretrato significativamente fra il 1920 e il 1934, ma il ritiro evidenziato dal confronto tra le due immagini storiche non ha niente a che vedere con la riduzione avvenuta negli ultimi decenni.

1 agosto 2020

1 agosto – Valnontey, Alpe Money

Valnontey è una conca meravigliosa a nord del Gran Paradiso. Qui, di primo mattino, caricata l’attrezzatura necessaria negli zaini, ci immergiamo nel bosco di larici che popolano il fondo valle ancora in ombra, con i ghiacciai che si scorgono arroccati in lontananza sopra l’anfiteatro di grandi falesie già illuminate dal sole. Dopo pochi minuti di cammino, lasciamo il fondo valle per prendere un sentiero sulla destra idrografica della valle e saliamo un ripido pendio che ci porta in località Alpe Money, un alpeggio posto su un piccolo altipiano con un magnifico affaccio sulla valle. Lungo il sentiero ritroviamo il punto da cui Mario Gabinio, nel 1903, aveva realizzato una fotografia panoramica della Valnontey, con un’ampia visione sui ghiacciai Money, Grand Croux e Tribolazione; mi accorgo subito che sicuramente oggi realizzerò un confronto di grande valore estetico e scientifico. Arrivati agli alpeggi impiego quasi due ore per individuare la posizione esatta da cui era stata scattata una fotografia della collezione di Agostino Ferrari, archiviata presso la Fondazione Sella. Spesso la combinazione di lenti e formati di cui non ho trovato informazioni e la presenza di oggetti in primo piano complicano molto la ricostruzione della prospettiva originale. Mi bagno la testa, fa molto caldo, e mi sposto di una ventina di metri nella posizione di uno scatto di Jules Brocherel del 1920 che inquadra sempre gli alpeggi di Money con il ghiacciaio della Tribolazione e Grand Croux sullo sfondo. Attendo Riccardo che sta finendo di realizzare un’immagine gigapixel con la testa panoramica, ci ristoriamo con qualche barretta e un po’ di pane e formaggio e ci incamminiamo velocemente verso valle. Le temperature, nonostante fossimo a 2300 metri, erano straordinariamente elevate, quasi insopportabili nelle ore centrali della giornata; anche questo un chiaro segnale dei cambiamenti climatici in corso. Il maltempo ci obbliga a restare in valle per un paio di giorni, ma le giornate non trascorrono invano: abbiamo tutto il materiale fotografico e video da scaricare ed elaborare, oltre alla stesura di questo diario che cerco sempre di scrivere a caldo, una volta scesi a valle, per non perdere la memoria viva e le emozioni della giornata.

4 agosto 2020

4 agosto – Valnontey, Casolari di Herbetet

Oggi, di primo mattino, ci ha raggiunto a Cogne Daniele Cat Berro, ricercatore della Società Meteorologica Italiana e uno dei climatologi più esperti delle Alpi Occidentali. L’obiettivo della giornata è raggiungere gli alpeggi dell’Herbetet da cui ripetere alcune fotografie di Vittorio Sella e di Emilio Gallo del 1894. Nonostante il dislivello maggiore rispetto alla salita precedente, oggi il cielo è velato da nuvole provvidenziali che rendono l’ascesa meno faticosa, riparandoci dal sole. \n \n In bassa valle, a circa 2000 metri di quota, troviamo un’incisione del 1866, scolpita dall'abate Jean Pierre Carrel e dall'esploratore genovese Enrico D’Albertis, che indica un accesso al ghiacciaio molto più in basso di dove si trova attualmente: venne. Poco sopra i 2400 metri raggiungiamo l’alpeggio e iniziamo a cercare l’elegante prospettiva della fotografia in cui Sella aveva incorniciato la fronte del ghiacciaio Money fra le due casette dell’Herbetet. Mentre attendiamo l’orario esatto per avere le ombre nella stessa posizione della fotografia storica, Daniele ci racconta l’importante lavoro della Società Meteorologica Italiana di studio sul clima e ci espone le sue preoccupazioni sugli effetti dei cambiamenti climatici sui ghiacciai alpini, anche rispetto alle conseguenze sulle attività umane. \n \n Ripetuta la fotografia storica smontiamo velocemente le attrezzature e scendiamo lungo il sentiero di qualche centinaio di metri alla ricerca di un affaccio da cui Vittorio Sella ed Emilio Gallo avevano scattato altre due immagini del ghiacciaio Money.

6 agosto 2020

6 agosto – Vetta del Breithorn

A partire dal 1881, Vittorio Sella ha raggiunto la cima delle principali vette alpine per realizzare fotografie panoramiche, ottenute unendo lastre singole scattate in formato30x40 o 20x25 cm. Imprese a dir poco eroiche se si considerano le pesanti e ingombranti attrezzature fotografiche dell’epoca le vie di salita spesso alpinistiche. Oggi, a distanza di 138 anni e con un ottimo lavoro di squadra, siamo riusciti a ripetere la sua famosa panoramica dalla vetta del Breithorn (4164 metri) in direzione del Cervino, composta da ben 8 lastre affiancate. Saliti con gli impianti da Cervinia fino ai 3400 metri del Plateau Rosa ci leghiamo in cordata per attraversare il ghiacciaio. Il dislivello non è particolarmente significativo, poco più di 700 metri, ma considerando la quota e gli zaini carichi di attrezzatura si rivela un ostacolo meno semplice del previsto. Ciò che risulta, tuttavia, veramente complicato è la realizzazione della fotografia panoramica dalla vetta: questo tipo di immagini, se si considera la scelta che contraddistingue il progetto “Sulle tracce dei ghiacciai”di utilizzare fotocamere di grande formato per replicare le medesime caratteristiche delle fotografie storiche, richiede delle procedure e delle attenzioni particolari, soprattutto in un ambiente di alta quota: trovarsi su una vetta di oltre 4000 metri con poco spazio intorno e il vento teso da nord, la necessità di stabilizzare il cavalletto sulla precaria neve di cresta, di cambiare lastra ad ogni scatto e di calcolare l’angolo di rotazione del cavalletto in relazione alla lente scelta, sono tutte azioni per cui serve lucidità e precisione. Qualunque errore potrebbe comprometterebbe l’intero lavoro, del cui risultato si è certi solo dopo aver sviluppato le lastre in laboratorio. Arrivati in vetta ho posizionato il solido cavalletto in carbonio, calcando con forza i puntali nella neve per stabilizzarlo al meglio. Poi ho individuato la lente adatta per ripetere fedelmente le inquadrature delle foto storiche. Infine ho scattato due sequenze, una con 8 lastre 4x5 pollici e una utilizzando il più piccolo formato 6x9 cm. Tutta l’operazione ci ha impegnati in vetta per oltre due ore, con il vento freddo che cominciava a farsi sentire: Marco mi ha aiutato nel tenere a mente la complicata sequenza dei passaggi di scatto; Dario, oltre a scattare le fotografie di backstage, ha mediato con diplomazia il passaggio sulla vetta degli alpinisti che sarebbero inesorabilmente risultati nell’immagine finale; Riccardo aiutava Federico nella realizzazione delle riprese video anch’esse particolarmente complicate a causa del vento e del nevischio di cresta. Devo confessare che è stata per me una vera emozione vedere l’impegno e la determinazione di tutta la squadra, unita dalla consapevolezza di collaborare alla realizzazione di un’immagine così importante per la documentazione degli effetti dei cambiamenti climatici.

8-9 agosto 2020

8-9 agosto Macugnaga – Joderhorn

E’ la prima volta che vedo la parete est del Monte Rosa dal vivo, ma non immaginavo che fosse così imponente. Di grandi montagne ne ho viste e fotografate tante durante le mie spedizioni in Himalaya e in Karakorum, ma ora capisco perché la est del Rosa viene considerata la “parete himalayana” delle Alpi. Non a caso, infatti, proprio su questo versante vennero ad allenarsi Walter Bonatti e i suo compagni prima di partire per la spedizione al K2 del 1954. Da questa grande parete scendono enormi flussi di ghiaccio che confluiscono in un'unica lingua glaciale, il Belvedere, uno dei ghiacciai più affascinanti dell’intero arco alpino. La prima salita in programma prevede di raggiungere Passo Moro per la ricerca dei punti di ripresa usati dal grande fotografo Vittorio Sella per alcuni suoi celebri scatti del 1895. Personalmente sono rimasto sempre affascinato dalla sequenza panoramica realizzata dal fotografo biellese dalla vetta dello Joderhorn (3034 metri), un’elevazione raggiungibile da Passo Moro in circa 40 minuti per una via intuitiva, anche se non proprio agevole. La mattina dell’8 agosto, insieme a Riccardo, Marco, Dario e Federico, prendiamo la prima funivia per essere in vetta il prima possibile, ma raggiunta la sommità cominciamo a vedere innalzarsi dal fondo valle alcuni cumuli di umidità che coprono velocemente ampie zone della parete. Decido quindi di rimandare gli scatti al giorno successivo e chiamo il rifugio Oberto-Maroli per fissare un pernotto ed essere sul posto l’indomani mattina presto. Nel frattempo ci raggiungono Alberto Cina, Paolo Maschio e Marco Fronteddu - ricercatori del DIATI del Politecnico di Torino - per georeferenziare con precisione il punto nodale della mia fotocamera: questo accorgimento sarà necessario per utilizzare le fotografie che realizzerò per sviluppare un modello 3D del ghiacciaio e confrontarlo con il modello che verrà creato utilizzando le fotografie storiche di Vittorio Sella. Il giorno successivo con Dario ci svegliamo molto presto per essere sulla cima dello Joderhorn alle prime luci dell’alba. Dopo aver realizzato alcuni scatti notturni fuori dal rifugio raggiungiamo con le frontali la vetta, da cui si apre uno spettacolo unico al mondo: la parete più grande delle Alpi illuminata dai primi raggi solari si tinge di rosa-arancione, lasciandoci estasiati. Dopo aver scattato alcune immagini in digitale monto la fotocamera Linhof grande formato, utilizzando il cavalletto che avevo lasciato montato sulla vetta il giorno precedente. L’obiettivo è realizzare 4 scatti su lastra che comporranno la fotografia panoramica a 180 gradi realizzata da Vittorio Sella nel 1895 della valle di Macugnaga e del ghiacciaio del Belvedere. Anche oggi il meteo mostra qualche segnale di peggioramento con i primi cumuli che cominciano a formarsi in fondo valle. Decido quindi di scattare un po' prima dell’orario che avevo previsto: anche se le ombre non avranno esattamente la stessa forma della fotografia storica, preferisco non rischiare che la parete si veli di nuvole come ieri. Il risultato mi riempie di gioia: abbiamo ripetuto una delle immagini storiche più belle del Monte Rosa! All’entusiasmo del risultato si affianca presto, tuttavia, l’amara consapevolezza che anche qui i cambiamenti climatici causati dagli essere umani hanno modificato drasticamente il paesaggio montano.

10-11 agosto 2020

10-11 agosto Macugnaga – ghiacciaio Belvedere

Oggi siamo saliti sul ghiacciaio Belvedere, lo stesso che abbiamo fotografato nei giorni scorsi dalla vetta dello Joderhorn, per cercare il punto da cui fratelli Wehrli avevano scattato una fotografia del ghiacciaio in prossimità del lago delle Locce. Arrivati nella zona in cui il ghiacciaio si divide in due lobi, il sentiero guadagna la sommità della morena, regalando una vista spettacolare sulla conca glaciale e sulla parete est del Monte Rosa. Il sentiero prosegue attraversando il ghiacciaio e passando da una morena all’altra siamo costretti a scendere di diverse decine di metri. Questo ghiacciaio, infatti, soprattutto negli ultimi 20 anni, ha subito delle profonde modificazioni e solo nel 2002 aveva un aspetto completamente diverso: il ghiaccio riempiva completamente le morene, arrivando addirittura - per uno straordinario effetto di trasferimento di massa verso valle - a superare l’altezza delle morene storiche. Adesso, invece, si è assottigliato al punto tale che per raggiungere la superficie glaciale in alcuni tratti è necessario scendere per quasi cento metri di quota. Arrivati sulla cresta più alta della morena, nelle prossimità di una piccola cappella, troviamo il punto da cui Wehrli aveva scattato l’immagine che ho in programma di ripetere. Anche in questa occasione, grazie al confronto fra l’immagine storica e quella attuale, potremo testimoniare l’enorme cambiamento che ha interessato il ghiacciaio. E’ infatti evidente come l’intero anfiteatro sotto la est del Rosa sia pesantemente collassato e i ghiacciai pensili che scendono lungo la parete siano ormai completamente separati dal bacino glaciale del Belvedere. Realizzato lo scatto, lavoriamo con i ricercatori Alberto Cina, Paolo Maschio e Marco Fronteddu del Politecnico di Torino, impegnati nella realizzazione di immagini con il laser-scanner che, insieme alle nostre immagini su pellicola ad alta risoluzione, consentiranno di creare un modello tridimensionale del ghiacciaio. Curiosi di cercare il punto di ripresa di un’altra splendida immagine realizzata qualche centinaio di metri più un alto, proseguiamo lungo la cresta della morena, gravemente compromessa dalle frane dovute al ritiro del ghiacciaio. Dobbiamo però desistere dal tentativo a causa di un temporale che velocemente rabbuia il cielo. Fortuna che alle prime gocce d’acqua troviamo una grande roccia strapiombante che ci fa da tetto! Tetto, appunto, le cui fessure sono marchiate da vecchi chiodi da progressione in artificiale. E mentre mangiamo i nostri panini ci piace sognare che su quei chiodi arrugginiti dal tempo un giovane Bonatti si sia allenato per la spedizione al K2. Ripariamo al rifugio Zamboni dove troviamo i ricercatori che saggiamente non ci avevano seguito nel nostro secondo tentativo. Un rapido caffè e poi la discesa insieme verso il rifugio Belvedere dove incontriamo gli amici e grandi esperti del ghiacciaio del Belvedere Gianni Mortara e Andrea Tamburini. E’ allo stesso tempo avvincente e triste sentire la competenza e la passione con cui ci raccontano delle loro montagne e di come le hanno viste divenire sempre più sofferenti negli ultimi anni… A fine giornata è il momento dei saluti: Gianni e Andrea che ci hanno raggiunto al Belvedere, Paolo e Alberto del Politecnico che ci hanno accompagnato fin dai primi giorni della spedizione e che rivedremo forse a metà settembre sul ghiacciaio del Calderone. Un po’ di commozione, qualche battuta, i saluti schietti e sinceri di chi è abituato alle maniere vere della montagna e si è ritrovato in queste vallate per il comune desiderio di provare a difenderle.

11 settembre 2020

11 agosto - Roma

Dopo aver attraversato tutte le Alpi dalla Valle d’Aosta al Friuli Venezia Giulia e fotografato e monitorato i ghiacciai alpini più importanti, oggi la spedizione del progetto “Sulle tracce dei ghiacciai” si sposta sul massiccio del Gran Sasso, in Appennino. Qui rimarrà fino a domenica 13 settembre per studiare il ghiacciaio del Calderone, il più a sud d’Europa. Il ghiacciaio, che si trova a una quota compresa tra i 2650 e i 2850 metri iniziò a ritirarsi a partire dalla metà dell’800 ed è passato da un'area di 7,5 ettari intorno al 1916 a 4,5 ettari alla fine del secolo scorso. Negli ultimi 20 anni ha continuato a ridursi anche se con diverse modalità a seconda delle annate ma oggi ha raggiunto probabilmente il suo minimo storico. Dall’inizio degli anni Duemila, quindi, non si può nemmeno più parlare di ghiacciaio ma di “glacionevato”: un accumulo di ghiaccio di ridotta superficie e di limitato spessore, dove d’estate la fusione è così veloce che la massa ghiacciata accumulata durante l’inverno si riduce comunque. L’agonia di questo ghiacciaio sarà documentata dagli scatti di Fabiano Ventura, direttore del progetto “Sulle tracce dei ghiacciai”, che ripeterà le foto scattate tra fine ‘800 e primi del ‘900 dai fotografi Dino Toninelli, Enrico Abbate e Pietro Angeletti. Insieme a Fabiano, oltre al suo team di filmaker e fotografi, sarà all’opera un nutrito gruppo di ricercatori: Alberto Cina e Paolo Maschio del DIATI (Dipartimento di Ingegneria dell’Ambiente, del Territorio e delle Infrastrutture) del Politecnico di Torino; Roberto Ambrosini, Davide Fugazza, Arianna Crozza, dell’Università Statale di Milano; Francesca Pittino, dell’Università di Milano Bicocca; Massimo Frezzotti, Presidente del Comitato Glaciologico Italiano. La squadra elaborerà un modello tridimensionale e multitemporale del terreno attraverso la fotogrammetria aerea da drone, raccoglierà inoltre campioni di limo glaciale per lo studio dei materiali inquinanti presenti nel ghiaccio e svolgerà monitoraggi di ecoglaciologia per studiare la biodiversità del terreno.

6-9 agosto 2021

6-9 agosto - Ecrins

Finalmente si parte! Direzione Ailfroide in Francia. Come prima tappa della spedizione visiteremo il Massiccio degli Écrins dove si trova la Barre des Écrins, l’unico 4000 di questo gruppo montuoso ed anche il più occidentale e meridionale delle Alpi. Conoscevo già la zona grazie ad una vacanza con la mia famiglia e un gruppo di amici nel 2012 quando le mie figlie Miriam e Lara avevano pochi anni. Prima di passare il confine attraversiamo la bellissima e selvaggia Val di Susa per poi passare nella valle di Briançon altrettanto bella paesaggisticamente ma molto più antropizzata. Su questo massiccio fotograferemo e monitoreremo i ghiacciai Blanc e Noir, così chiamati per le loro caratteristiche. Il Blanc infatti è un ghiacciaio quasi privo di detriti rocciosi mentre il Noir si chiama così proprio perché trovandosi in una posizione più incassata fra pareti rocciose e verticali è quasi completamente invisibile al di sotto di una coltre di detriti depositati da frane e valanghe. Il giorno successivo con Matteo Trevisan e Dario Alaimo, i due collaboratori che mi accompagnano in questo primo tratto di spedizione, siamo subito in cammino verso la fronte del Glacier Blanc, il più esteso del massiccio. Dopo solo un’oretta lungo la salita riesco a ripetere uno scatto di fine ‘800 della fronte del vicino Glacier Noir con la sua lunga e caratteristica morena alla sua sinistra idrografica. Una mezz’ora più tardi, nonostante alcune difficoltà nel ritrovamento dell’esatta posizione di scatto, riesco finalmente a riprendere la fronte del Glacier Blanc. Entrambi i ghiacciai hanno avuto un ritiro importante, il gestore del rifugio Glacier Blanc, nostra meta di giornata, ci racconta infatti che i due ghiacciai prima del 1853 erano uniti nel fondo valle a meno di 2000 m di quota. Al rifugio incontriamo come da programma i ricercatori Roberto Ambrosini, Francesca Pittino, Davide Fugazza e Barbara Valle che hanno in programma diversi rilievi e campionamenti per studi di ecologia glaciale. Il giorno seguente ci svegliamo all’alba per cercare due importanti postazioni fotografiche utilizzate da Vittorio Sella nel 1883 per fotografare il Monte Pelvoux e la Barre des Écrins. Dopo aver trovato la corretta postazione e ripetuto il primo scatto, troviamo facilmente anche la seconda ma dobbiamo attendere alcune ore prima di poter ripetere l’immagine con la medesima illuminazione di allora. Il bacino di accumulo del ghiacciaio, ovvero la porzione pianeggiante più elevata, dove la neve solo nelle annate peggiori scompare in piena estate, è cambiato drasticamente. In 138 anni la superfice del ghiacciaio si è abbassata di almeno 50 metri e tutti gli imponenti seracchi, degli enormi blocchi di ghiaccio alti come dei palazzi, ritratti nella fotografia storica, ora sono completamente spariti aprendo la vista sulle creste montuose a destra della Barre des Écrins. Nel pomeriggio raggiungiamo Roberto e la sua collega Francesca per seguire e documentare i campionamenti che stanno effettuando sul ghiacciaio per poi tornare a valle dopo un dislivello complessivo di quasi 2000 metri. Il giorno successivo ritroviamo due postazioni dal fondo valle da cui il fotografo francese Henri Ferrand scattò due fotografie delle fronti dei ghiacciai Blanc e Noir.

10-13 agosto 2021

10-13 agosto - Monte Bianco

Siamo già al 10 agosto e nel trasferirci sul Massiccio del Monte Bianco ci fermiamo nel paesino La Grave da cui ripetiamo un paio di antiche lastre di fine 800 ritrovate presso l’istituto Cessole di Nizza che ritraggono il dirupato versante nord de La Meije. Lo splendore dello scintillante ghiacciaio che si stacca da questa magnifica vetta che sfiora i 4000 m di quota nel Massiccio degli Écrins è svanito mentre ora i ripidi pendii poco a monte del centro abitato si sono trasformati in placche rocciose e ghiaioni brulli e detritici. La mattina successiva siamo a Chamonix, cuore del massiccio del Monte Bianco francese. La meteo continua ad assisterci, pertanto, approfittiamo per salire subito allo storico punto panoramico di Montevers con il caratteristico trenino rosso a cremagliera per cercare i punti fotografici delle tante immagini storiche di uno dei ghiacciai più iconici delle Alpi, la Mer de Glace. Non visitavo questa zona dal 1999 quando ci venni con il regista Gino Cammarota per realizzare un documentario per Geo&Geo, la lingua glaciale ora fa veramente impressione per le sue misere condizioni, depressa nel fondo valle e ricoperta completamente dal detrito roccioso. Se poi lo si confronta con le immagini di oltre un secolo fa che avevo in mano sembrava quasi di vedere un altro luogo. Passeggiare fra i turisti mi ha fatto riflettere il commento di una donna che parlando con il marito ha detto “ma la Mer de Glace non esiste più, è diventato un mare di rocce”. Effettivamente, una volta ritrovati gli stessi luoghi di scatto delle immagini storiche ci si rende conto quanto il paesaggio sia mutato drasticamente a causa del riscaldamento globale, la lingua glaciale ormai arretrata di quasi tre chilometri si è affossata nel fondo della valle e coperta di detriti rocciosi. Lo spettacolo di allora si è perso per sempre. Scesi a valle ci beviamo una birra con il Prof. Philip Deline, dell’Université Savoie Mont Blanc, che ci ha gentilmente accompagnato durante l’escursione e lo salutiamo dato che dovrà raggiungere la moglie a Courmayeur. Il giorno successivo con la funivia saliamo sulla Aiguille du Midi (3848 metri), che si traduce letteralmente "Ago di mezzogiorno", poiché guardando la montagna da Chamonix, a quell'ora, il sole si trova direttamente sopra la sua vetta. Da questa guglia il colpo d’occhio sulla vetta del Monte Bianco è fra i più spettacolari ed emozionanti delle Alpi. Ci troviamo qui perché nel 1883 Vittorio Sella, dopo una lunga ed impegnativa salita a piedi da Chamonix, aveva immortalato il Monte Bianco regalando alla storia uno degli scatti più affascinanti della sua lunga carriera. Ripetute le tre immagini per comporre la panoramica originale, scendiamo con Dario lungo l’affilata cresta di neve che porta alla Vallée Blanche da cui ritroviamo un punto di scatto di un’altra immagine di Sella che ritrae proprio la Aiguille du Midi al tempo scolpita solo dagli agenti atmosferici. Infatti, a partire dal 1955, l’enorme sperone roccioso è stato completamente trasformato per ospitare le tante infrastrutture turistiche legate alla funivia. La mattina del 12 agosto saliamo, sempre con l’aiuto delle funivie, alla Brevent, vetta che si trova a monte di Chamonix ma sul versante opposto rispetto al massiccio del Monte Bianco. Il capo stazione della funivia, dopo averci chiesto quali erano le nostre finalità, ci da il permesso di salire sopra il tetto della Cabane du Brevent e riuscire a ripetere una fotografia panoramica di inizio ‘900 dell’intera valle di Chamonix proveniente dall’archivio di Agostino Ferrari. Al tempo i ghiacciai dell’Argentiere, la Mer de Glacie e il Bosson arrivavano ancora a lambire il fondovalle. Prima di trasferirci in Svizzera, saliamo con Dario verso “Le Chapeau”, un ristoro da dove a fine ‘800 si poteva osservare la fronte del ghiacciaio “Des Bois” come veniva chiamato al tempo questo tratto inferiore della Mer de Glace che oggi non esiste più visto che arrivava nel fondo valle fino a toccare le prime case di Chamonix. In questo caso è stato ancora più complicato ottenere le stesse inquadrature di allora per via della ripopolazione dei larici su entrambi i versanti della valle che ormai coprono quasi del tutto la visuale. Il paesaggio imponente e severo di queste grandi montagne, ormai ferito dagli effetti dei cambiamenti climatici, stride ancor di più per la quantità di turisti che si riversano in pochi punti panoramici raggiungibili grazie alla rete capillare di funivie e vie ferrate che dal secolo scorso hanno permesso un approccio veloce ma spesso frettoloso e superficiale a questi ambienti. In questi casi la cosa che mi rattrista di più è vedere le persone scendere dalle diverse infrastrutture e farsi subito un selfie senza neanche guardare il maestoso paesaggio alle loro spalle. La poca attenzione a ciò che ci circonda e ai suoi mutamenti mi motiva ancora di più nel portare avanti questo progetto, nella speranza di sensibilizzare verso una più profonda cultura dell’ambiente.

23-27 agosto 2021

23-27 agosto - Bernina

Oggi il nostro obbiettivo è il ghiacciaio del Rodano, che incontreremo sul nostro percorso di trasferimento dal Vallese all’Engadina. Abbiamo con noi alcune inquadrature di metà ‘800 che mostrano la valle da cui partono le strade per i passi del Furka e del Grimsel completamente invasa dalla fronte del ghiacciaio, allora alimentata dall’enorme cascata di ghiaccio. Proprio nel fondo valle, dove allora arrivava la fronte del ghiacciaio, alla fine del 1800 era stato costruito un albergo per permettere ai turisti di visitarlo agevolmente. Nella mattinata riusciamo a trovare le postazioni dei più importanti scatti storici e successivamente ci dedichiamo alla ricerca dei punti delle inquadrature dove nelle foto originali erano presenti anche alberghi, carrozze o delle auto dei primi del ‘900. In serata ci spostiamo verso Pontresina in Engadina dove ci incontriamo con Riccardo Scotti, geologo del Servizio Glaciologico Lombardo, nuovamente con Matteo Trevisan e Anna Gusmeroli per iniziare il lavoro nella zona del Bernina. Il giorno successivo siamo subito sul campo per fotografare il ghiacciaio del Morteratsch, prima dal fondo valle e poi nella mattinata da un promontorio poco sopra al punto in cui l ghiacciaio arrivava a fine ‘800. Riusciamo a ritrovare le stesse inquadrature storiche, ma come spesso accade la vista sul ghiacciaio è ostacolata dalla presenza di molti alberi e in questo caso anche da diverse linee elettriche del treno che naturalmente all’epoca non c’erano. Sono quindi costretto ad arrampicarmi pericolosamente sugli alberi, a volte anche per diversi metri per poter liberare la vista sulla valle che allora era completamente invasa dalla fronte del ghiacciaio. In questo caso il ghiacciaio dal fondovalle quasi non si riesce a vedere, a causa del ritiro frontale di oltre 2 km dalla sua massima espansione al culmine della Piccola Età Glaciale; oggi la sua fronte si trova dietro dei bastioni rocciosi che ne coprono la vista dal basso. Il meteo ci permette di programmare il lavoro nella valle Rosg da cui ripetere degli scatti di Alfredo Corti, uno dei più attivi fotografi valtellinesi dei primi del ‘900. L’indomani decidiamo di andare al Passo del Bernina per cercare dei luoghi di scatto che ritraggono il ghiacciaio Cambrena. Le fotografie che abbiamo selezionato sono sei, di cui una particolarmente antica, del 1867, a cui voglio dedicarmi in via prioritaria, anche in considerazione dell’instabilità atmosferica che potrebbe peggiorare da un momento all’altro. Nel corso della giornata incontriamo degli anziani escursionisti del luogo, che – incuriositi dal nostro lavoro – ci raccontano della situazione del ghiacciaio 40 anni fa e dei cambiamenti a cui hanno assistito in questi decenni. Giovedì 26 agosto partiamo molto presto per prendere la prima funivia per il Corvatsch vicino St. Moritz, la quale ci porta vicino al Ristoro della Fuorcla Surlejper scendere poi nella meravigliosa e selvaggia Val Roseg. Dopo un primo confronto fotografico proprio dal ristoro, con cui evidenzieremo la quasi totale scomparsa del ghiacciaio del Corvatsch, iniziamo a scendere dentro la valle per cercare un sentiero ormai dismesso da oltre 100 anni, le cui tracce si notavano ancora dalle immagini satellitari che abbiamo consultato in fase di programmazione dell’itinerario. Grazie al ritrovamento di questo antico sentiero riesco a rintracciare un primo luogo da cui ripetere un famoso scatto di Alfredo Corti. Non siamo, tuttavia, certi dell’esattezza del punto da cui ripetere la foto; proviamo così ad andare poco più avanti e Riccardo ipotizza una nuova postazione con una roccia che, grazie al confronto con l’immagine storica si rivela essere proprio quella su cui i compagni di Corti si erano seduti e fatti ritrarre. Il confronto tra l’immagine storica e il paesaggio che ci circonda è come sempre impietoso, l’intera valle sotto di noi era colma di ghiaccio nel 1906 mentre oggi è presente una voragine detritica con un lago verde e il ghiacciaio si è ritirato lungo i pendii lasciando sotto di sé versanti rocciosi con morene detritiche. Soddisfatti della ripetizione fotografica per nulla scontata ci dirigiamo verso valle percorrendo l’antico sentiero che a volte si disperde nell’erba alta. Il paesaggio è mozzafiato, la valle è incontaminata e sul versante opposto verso est si erge l’enorme catena del Bernina da cui scende il ghiacciaio Tschierva nostro prossimo obbiettivo fotografico. Dopo circa un’oretta raggiungiamo le baite del Margnun da L’Alp Ota da cui erano state scattate alcune bellissime fotografie di fine ‘800. Perdo molto tempo per ritrovare i punti di scatto e dato poco tempo a disposizione, decidiamo di dividerci in tre squadre e cercare ognuno un punto diverso da cui vennero scattate le tre fotografie. Dopo oltre 30 minuti di ricerche riesco ad individuare una prima inquadratura e poi un’altra che include anche le baite. Allora il ghiacciaio Tschierva arrivava fin dentro la valle Roseg oggi invece ha lasciato le sue due grandi morene spoglie e detritiche e si è arroccato lungo ripidi pendii. Ripetuti questi due scatti Riccardo resta con Matteo a fare qualche timelapse con la testa remotata Syrp; i tuoni però ci spronano a scendere in fretta e ci incamminammo velocemente verso il basso, percorrendo la lunga strada fino all’auto parcheggiata nel fondo valle. L’ultimo giorno nella zona dell’Engadina abbiamo appuntamento sul ghiacciaio del Morteratsch con i glaciologi Claudio Smiraglia, Guglielmina Diolaiuti e Davide Fugazza dell’Università Statale di Milano che ci raggiungono per effettuare alcuni rilievi e riprese fotogrammetriche da drone. Federico e Matteo vanno all’appuntamento per documentare con video e fotografie il loro lavoro mentre io e Riccardo saliamo al Diavolezza per ripetere delle fotografie della Vadret da Pesrs antico bacino di accumulo confluente nel ghiacciaio Morteratsch proprio a valle dei magnifici speroni settentrionali dei Pizzi Palù. Purtroppo arrivati al rifugio con la funivia a oltre 3000 metri le nuvole coprono tutte le vette mentre nelle fotografie storiche che vorrei ripetere erano state ritratte in una giornata limpida e senza nuvole. Restiamo quindi in attesa fuori dal rifugio per tutta la mattina per fare qualche timelapse ma le nuvole iniziano a diradarsi solo dopo le 12:00. Dopo aver ripetuto le quattro fotografie storiche prendo velocemente le coordinate con il GPS di ogni luogo di scatto e le segno dietro le stampe antiche e velocemente scendiamo a valle per raggiungere i ricercatori alla fronte del ghiacciaio Morteratsch per seguirli nei loro rilievi. L’incontro con i ricercatori è sempre entusiasmante, ci raccontano le loro esperienze sul campo e ci fanno comprendere le complesse dinamiche di questi enormi fiumi di ghiaccio e le conseguenze del loro progressivo ritiro.