Allacciate le cinture

Evoluzione di un dispositivo

Rimangono il sistema di sicurezza principale su qualsiasi automobile. Ecco come sono cambiate dalla fine degli anni ’50 ai nostri giorni

Questo è il divano posteriore di una Volvo 122 Amazon degli anni 1957/1958. Il suo felice passeggero siede assicurato con una cintura di sicurezza a due punti, o a bandoliera: all’apparenza simile alle cinture come le conosciamo oggi, ha in realtà due importanti differenze.

La prima è che è senza arrotolatore (che, specie per chi siede dietro, ha un una funzione prevalentemente pratica, legata alla possibilità di conservare in ordine la cinghia quando non è in uso). La seconda difformità è che non esiste la fascia addominale, che comporta il classico disegno a V con la punta rivolta verso il pianale.

È il primo passo in direzione di una superiore sicurezza passiva: il concept della cintura moderna è dietro l’angolo.



La vera evoluzione, quella che farà compiere alla cintura un salto di qualità incomparabile, arriva nel 1959. È in quell’anno che l’ingegner Nils Bohlin (nella foto) inventa la cintura a tre punti, in grado di assorbire l’impatto di un eventuale urto laddove il corpo umano ha maggiore resilienza: il bacino e il torace.

È un sistema efficace e semplice da utilizzare visto che comporta un solo gesto della mano. La cintura viene brevettata ma si tratta di un brevetto aperto — non riservato, cioè — in modo che qualunque altro costruttore possa utilizzarlo.

Da quell’anno tutte le Volvo (PV544 e Amazon) destinate al mercato interno ne sono equipaggiate. Le vetture per i mercati esteri seguono a stretto giro.



Alla vigilia del Salone di Francoforte, a settembre dello stesso anno, la Volvo organizza un test particolarmente efficace a poca distanza dalla Frankfurt Messe: a bordo di una PV544 lo stuntman svedese Orvar Aspholm fa quattro roll-over consecutivi.

Ed esce dalla vettura come se nulla fosse successo: non solo la cintura gli ha salvato la vita, ma gli ha permesso di cavarsela senza un graffio. Un rapporto su 28mila incidenti avvenuti in Svezia, pubblicato nel 1967, dimostrerà che l’impiego della cintura riduce i traumi del 60%.

E vale ancor oggi. La prova? Le tre lettere che sino a qualche anno fa si trovavano sull’airbag: SRS, ovvero Supplementary Restraint System: sistema supplementare di ritenzione. Supplementare, perché il lavoro “grosso” lo fa sempre lei, la cintura.



Avere la cintura a disposizione è dunque la cosa più importante.

Ma non basta: è fondamentale ricordarsi di allacciarla. Negli anni ’70, anche per via delle legislazioni non uniformi nei vari Paesi, non è detto che tutti ci pensino. Ecco allora che la Volvo, sui modelli della Serie 100, introduce già nel 1971 un doppio segnale (luminoso e sonoro) che ricorda di “legarsi”.

E che si attiva quando, a marcia inserita, la fibbia è ancora vuota. Un reminder tutt’oggi presente, sia pure in posizioni diverse e con modalità di funzionamento più evolute. In quegli anni si diffondono anche gli arrotolatori, che per il conducente presentano pure il vantaggio di permettere una certa flessibilità del tronco: è molto utile, ad esempio, a controllare il traffico in un’immissione con un angolo particolarmente disagevole.



Negli anni ’80 arriva invece il pretensionatore: mettendo preventivamente in tensione la cintura, ne migliora l’adesione al torace, limitando le conseguenze di un impatto sul corpo. Interviene sulla fibbia, arretrandola e limitando in questo modo anche lo scivolamento del corpo verso il basso negli impatti frontali.

Il pretensionatore meccanico, come quello nella foto, prevede una carica che viene azionata da una sorta di molla; il pretensionatore pirotecnico integra invece una piccola carica esplosiva che, quando un sensore rileva l’urto, viene attivata da una centralina e blocca il nastro della cintura.

Il dispositivo può azionarsi anche in caso di urti di bassa entità, di quelli che non causano l’apertura degli airbag.



È del nuovo millennio la campagna informativa per l’uso della cintura di sicurezza da parte delle donne in gravidanza.

In questa immagine del 2007, con una modella in dolce attesa ai comandi di una Volvo C70 di seconda generazione, le quattro regole fondamentali da seguire: 1, togliersi il soprabito in modo che il nastro aderisca bene al corpo, senza impedimenti; 2, regolare il sedile per raggiungere con sicurezza i pedali facendo però attenzione a rimanere il più possibile lontano dal volante; 3, sistemare la fascia addominale sotto il ventre controllando che sia ben tesa, senza lasciare del gioco; 4, piazzare la parte toracica della cintura tra i seni e lateralmente al grembo.

Con queste precauzioni specifiche ogni viaggio è sereno anche per le future mamme.



Sulla seconda generazione della Volvo XC90 (arrivata nel 2014) è stata adottata in prima mondiale una soluzione che aumenta ulteriormente l’efficacia delle cinture se la vettura esce di strada: è un sistema che attiva il serraggio delle cinghie non solo mantenendo gli occupanti nella corretta posizione di seduta: per evitare le lesioni alla colonna vertebrale, assorbe l’energia cinetica fra il sedile e il pianale e ammortizza (riducendole sino a un terzo) le forze verticali che possono generarsi quando la vettura urta violentemente contro il terreno.

In questo modo il rischio di lesioni spinali viene quasi completamente scongiurato.

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