COM’È SUCCESSO?

L’Accident Research Team

Dal 1970, quando a Göteborg si verifica un incidente stradale, i tecnici specializzati della Volvo vanno sul posto per studiare cause e conseguenze

Lavorano da oltre mezzo secolo in questa maniera, i tecnici dell’Accident Research Team della Volvo: quando nei dintorni di Göteborg si verifica un incidente stradale, accorrono sul posto esattamente come fanno la polizia, l’ambulanza o i vigili del fuoco. E, come loro, fanno i rilievi. Solo che, più che alle dinamiche dello scontro (per stabilire torti e ragioni), si interessano allo stato delle vetture, alle condizioni psicofisiche dei conducenti, alle conseguenze sugli occupanti. In fabbrica li chiamano i CSI della Volvo, in riferimento ovviamente alla serie tv. In questo modo ogni evenienza negativa, come sempre lo è un incidente, diventa l’occasione per recuperare conoscenze grazie alle quali realizzare automobili ogni giorno più sicure.



Una volta rientrati in sede, quelli dell’Accident Research Team coinvolgono i loro colleghi del Volvo Cars Safety Center, che in questa immagine vediamo schierati, alla fine degli anni ’90, in compagnia di due S80 di prima generazione vittime di una simulazione di crash test fatta in laboratorio. Tutte le persone coinvolte nell’incidente vengono richieste, dietro garanzia che i dati verranno codificati e resi irriconducibili all’identità dei soggetti, di rendere disponibili le loro cartelle cliniche, in modo da studiare la correlazione tra quel determinato impatto e le lesioni che possono esserne seguite. È in questa fase che esperti di biomeccanica e fisici si mettono al lavoro.



Ogni anno la squadra di esperti passa al setaccio cause e conseguenze di una cinquantina di incidenti, con particolare riferimento a quelli in cui sia stata coinvolta una Volvo, come nel caso della S80 seconda serie che vediamo in questa immagine, e la cui uscita di strada ha provocato lo sbandamento dentro un fosso, danni di una certa entità alla parte anteriore della vettura (si è staccato il paraurti) e l’apertura degli airbag frontali. Ovviamente l’analisi di un caso — mediamente — alla settimana non è la sola fonte di studio di cui gli ingegneri Volvo dispongono per sviluppare nuovi sistemi di sicurezza, ma resta una base di lavoro preziosissima, anche perché consente di valutare l’efficacia dei dispositivi di protezione sulla base dello storico dei risultati.

La scena di un incidente non è mai bella da vedere. Ma rinfranca constatare che uno scontro certamente non lieve come questo frontale, avvenuto a 60 km/h tra due V70 (una nuova di zecca, l’altra con dodici anni di vita) nell’autunno 2009, non ha provocato morti ma solo feriti, in parte di lieve entità. In base ai dati raccolti in quella situazione, il Volvo Accident Research Team e il Volvo Cars Safety Center hanno ricostruito la scena in laboratorio, così da implementare gli elementi di conoscenza per migliorare il livello di protezione dei modelli futuri. Se sulle Volvo di oggi, in caso di incidente, ci si fa ancora meno male, parte del merito va anche allo studio delle conseguenze di questa collisione tra youngtimer.



In cinquantadue anni di lavoro il Volvo Accident Research Team ha studiato oltre 43mila casi di incidenti, nei quali sono state complessivamente coinvolte 72mila persone: oltre alle ispezioni “in presenza”, lavorano infatti anche da remoto studiando le risultanze dei verbali delle forze dell’ordine e delle cartelle cliniche di incidenti particolarmente importanti o interessanti ai fini della valutazione sulla sicurezza dei veicoli. È anche grazie al lavoro incessante di questa squadra, i cui operatori lavorano giorno e notte, con una reperibilità continua, che le Volvo di ultima generazione — come ad esempio questa V90 con la livrea della squadra — rendono realistico l’obiettivo di annullare i casi di morte e di ferite gravi a bordo di una Volvo coinvolta in un incidente.



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