Cose mai viste

Alcuni inediti del passato

Non tutti i progetti hanno uno sviluppo produttivo: ecco le coupé della Volvo che non hanno superato la fase prototipale

Negli anni in cui i prototipi della Volvo venivano identificati con i nomi dei reali inglesi questa coupé del 1952, nota internamente anche come P179, fu conosciuta come Margaret Rose in omaggio alla sorella della Regina Elisabetta II. Avrebbe dovuto affiancare e, a lungo termine, sostituire, la PV444, rispetto alla quale aveva una forma più dinamica e alla moda: fianchi Ponton (senza parafanghi sporgenti, cioè), pinne posteriori e una singolare calandra a sviluppo verticale che sarebbe poi stata ripresa sulla P1900 Sport. La produzione, prevista per il 1955, non ebbe mai seguito: si giudicò che la massa di 1200 kg sarebbe stata eccessiva per la meccanica, comune alla PV444.



Il suo nome era suggestivo: Rocket, razzo. Il suo stile anche. Osservando con attenzione questa ardita coupé si nota che la sua parte anteriore è la stessa della Volvo 1800. Il prototipo, realizzato nella seconda metà degli anni ’60 dalla carrozzeria italiana Frua, prefigura la 1800 ES del 1971. La quale, come la Rocket, mantiene la metà anteriore della coupé d’origine e ha un posteriore specifico, con il portellone privo di cornice in lamiera giacché è costituto dal solo lunotto apribile. La vettura di serie avrebbe ripreso i concetti innovatori di questa concept innestandoli su un corpo vettura che manteneva però inalterata anche la parte bassa delle fiancate del modello d’origine.



Anche questa Volvo è sostanzialmente irriconoscibile come tale. Si tratta della GTZ, disegnata da un altro carrozziere italiano, Zagato, e presentata a ottobre 1969 al Salone di Torino. L’iniziativa non fu in questo caso dovuta a una decisione degli headquarter svedesi ma della Motauto, la società privata che sino al 1973 gestiva le importazioni delle Volvo nel nostro Paese. Il motore era il B20 della 1800 S. Un anno e mezzo più tardi, al Salone di Ginevra del 1971, sempre per iniziativa della Motauto, venne esposta un’altra coupé di Zagato, la 3000 GTZ, sostanzialmente ridisegnata, più grande (era lunga 4,59 metri contro 4,15) e sviluppata, questa volta, sulla meccanica della 164 a sei cilindri. In entrambi i casi rimasero semplici, ancorché gradevoli, esercitazioni di stile.

Ecco come avrebbe potuto presentarsi uno sviluppo ulteriore della coupé Volvo degli anni ’70 se fossero esistite le condizioni per dare una successione alla 1800 ES. La vettura nella foto è la 1800 ESC, conosciuta anche come Viking: uno studio di stile che la Carrozzeria torinese Coggiola presentò a ottobre 1971 al Salone di Parigi, di fatto in contemporanea con il lancio della 1800 ES medesima. Mentre però quest’ultima era un adattamento, sia pure importante, della P 1800 S, la Viking era una coupé completamente nuova, che impiegando gli stessi organi meccani superava la formula della shooting brake aderendo a due delle tendenze stilistiche del periodo: un profilo fastback e i fari a scomparsa, azionati mediante un sistema idraulico a pedale.



I legami tra la Volvo e l’Italia sono frequentissimi. Nel 1979 tocca alla carrozzeria Bertone, e in particolare a Marcello Gandini, dare una forma a una coupé su gruppi meccanici della Serie 300. Nasce a questo scopo la Tundra, dalle linee spigolose e coraggiose che sono solo una parte del suo carico di novità. Il resto è all’interno, in cui fa bella mostra di sé una strumentazione a cristalli liquidi che è un tripudio di indicazioni luminose, giocate sia con semplici indicazioni numeriche sia con grafici: raccontano in modo coreografico i giri del motore e tutte le altre funzioni meccaniche della vettura. Anche in questo caso non si andrà oltre lo studio di stile.



Anche nel nuovo millennio sono continuate le esercitazioni stilistiche sul tema della coupé. Nel 2004 è stato il turno della YCC (Your Concept Car), prefigurazione di un’auto per una clientela in prevalenza femminile. Così come composto esclusivamente da donne era stato il team che l’aveva sviluppata. Tra le sue particolarità, il cofano motore sigillato (era accessibile solo il serbatoio del lavavetri), la manutenzione programmata ogni 50mila chilometri, i pneumatici antiforatura runflat e le porte ad ala di gabbiano azionabili elettricamente. Il powertrain ibrido anticipava di parecchi anni le scelte oggi diventate la regola in quest’epoca di transizione ecologica. Non solo stile, quindi, ma anche precisi orientamenti tecnologici e produttivi.