Prima Visione

La concept SCC (2001)

Oltre vent’anni fa questa vettura-laboratorio aveva anticipato molte idee per la sicurezza. In modo del tutto speciale in termini di visibilità

Il fatto che fosse bella (e bella lo era, e tanto) e che avesse aperto la strada, stilisticamente parlando, alla C30 che sarebbe arrivata cinque anni più tardi, è paradossalmente l’elemento meno importante della Volvo SCC del 2001. La sua sigla — Safety Concept Car — introduce a elementi cari alla Volvo: la sicurezza e l’innovazione. Declinati, qui, con un’attenzione molto puntuale ai temi della visibilità. Ciò che rende straordinario questo laboratorio viaggiante è che la stragrande maggioranza dei suoi contenuti, del tutto inediti ventidue anni fa, sono stati poi trasferiti sui modelli di produzione. Il che conferma che per la Volvo le concept car sono manifesti che anticipano la realtà, e non semplici enunciazioni.



Progettata intorno all’occhio umano, la SCC permette alla vista del conducente il massimo controllo possibile sulla strada. Quando qualcuno si accomoda al volante, un sensore rileva la posizione dei suoi occhi e adegua ogni elemento interno affinché venga raggiunta la visione più elevata: sedile, pavimento, pedaliera, volante, consolle centrale e leva cambio si spostano automaticamente per ottimizzare l’ergonomia. Il viaggio non diventa quindi solo confortevole ma, prima di ogni altra cosa, sicuro. E non solo per chi guida: un sensore di battito cardiaco rileva infatti la presenza di persone e animali a bordo, scongiurando che vengano dimenticati cani, gatti o bambini grazie a un avvertimento sonoro.



Oggi fari lenticolari, a led e a scarica di gas sono la regola. All’inizio del millennio, no. La SCC innova radicalmente anche nel campo della visione notturna introducendo un fascio di luce adattivo con i suoi tre proiettori poliellissoidali: un fascio, cioè che segue, la direzione del volante illuminando in questo modo le curve. Sensori di distanza controllano lo spazio libero tra la propria auto e quella che precede, allertando il conducente con l’accensione di una spia oltre che con un avvertimento sonoro quando la distanza diventa troppo breve. Sono gli archetipi del City Safety, che arriverà molti anni più tardi e che oggi è una delle caratteristiche più identitarie delle Volvo.

È quel che si definisce un dettaglio, certo, ma dice tanto della genialità della SCC: il montante anteriore è traforato, così da eliminare ogni possibile angolo morto nella visuale anteriore, in modo particolare quando si affronta una curva a raggio stretto. Per raggiungere questo obiettivo senza rinunciare alla fondamentale funzione strutturale della scocca la cornice del parabrezza è realizzata in acciaio altoresistenziale, che rende possibile la percezione della strada attraverso un reticolo di finestrelle di forma triangolare in plexiglas. Anche se evidentemente la funzione principale di questa soluzione è finalizzata alla sicurezza, pure la resa estetica è decisamente notevole e originale.



Chiunque abbia guidato una Volvo dell’ultima — ma anche della penultima — generazione riconosce in questo elemento il BLIS, Blind Spot Information System: la lucetta sul montante del finestrino laterale che avvisa del sopraggiungere di un veicolo. E che annulla gli effetti del cosiddetto angolo cieco (blind, in inglese), che rende invisibile per una frazione di secondo la vettura che sopraggiunge alle nostre spalle. Sulla SCC non si chiamava ancora BLIS — che infatti, come tale, non esisteva ancora — ma il concetto era lo stesso. Ed era la prima volta che un dispositivo del genere veniva utilizzato. Comunque la si intenda, gran parte delle Volvo di oggi è fatta come la conosciamo anche grazie alle innovazioni introdotte proprio con la SCC. Ed è esattamente questo ponte tra ieri e domani passando per l’oggi il vero senso dell’Heritage.