SONO UNA VISIONARIA

La concept ACC

SUV, ovvero Sport Utilty Vehicle. Nel 2001 è ancora una sigla che pochi conoscono. Ecco come la Volvo la interpretò, anticipando la XC90

All’alba del millennio la sigla SUV (Sport Utility Vehicle) è ancora poco conosciuta. La Volvo ne dà la sua prima interpretazione a gennaio 2001 al Salone di Detroit, dove presenta la ACC: Adventure Concept Car. È una prova generale prima del lancio, nemmeno un paio di anni dopo, della XC90, primo modello “alto” della marca. Al motorshow americano vengono chiariti entrambi i concetti: la ACC vuole sondare le reazioni del pubblico; e quella che la gente vede esposta non è la vettura definitiva, ma le si avvicina parecchio. I visitatori possono affidare le loro impressioni ad alcuni monitor sullo stand. Un modo di anticipare l’interattività di internet, che a sua volta in quegli anni inizia a diventare una presenza abituale nelle nostre vite.



Anche se alcuni elementi di stile, come i battistrada solcati di blu, volutamente enfatizzano l’aspetto da showcar della ACC, il suo stile rifugge dal “machismo” in quegli anni associabile a questo genere di carrozzeria, preferendogli un’immagine che determina, anche visualmente, un senso di sicurezza. Questo, oltre a essere coerente con il DNA della marca, permette alla vettura di indirizzarsi a un pubblico molto eterogeneo. Comprese le numerose donne che, in quegli anni, specie oltreoceano, dimostrano di apprezzare particolarmente le “sport ute”. Un’auto avventurosa, come lascia intendere la sigla che la identifica, ma per avventure prima di tutto sicure.



Più ancora dell’esterno, l’organizzazione dell’abitacolo prende strade autonome rispetto alla vettura di serie che sarebbe seguita alla ACC. Anche se alcune scelte stilistiche indicano una fuga in avanti rispetto alla concretezza della XC90 standard, la plancia già contiene indizi sulla volumetria della Volvo di serie che ne sarebbe seguita: digrada dalla base verso l’alto, in modo da risultare visualmente più leggera e aumentare la sensazione di abitabilità e di controllo della strada. Tutto ciò senza la necessità di occupare uno spazio in pianta eccessivo. Oggi, che siamo abituati a SUV molto compatte, può sembrare curioso definire non particolarmente grande la XC90; nel 2001, invece, le sue proporzioni erano inusitatamente contenute.

Il posizionamento trasversale del motore permette, sulla ACC (come pure sulla successiva XC90) un design cab forward, cioè con il posto guida — e passeggero anteriore — particolarmente avanzati: questa immagine esemplifica chiaramente il concetto. Un modo sia per ottimizzare lo sfruttamento dello spazio interno sia per minimizzare le conseguenze su pedoni e altri veicoli in caso di impatto. In un’epoca in cui le SUV si impongono come vetture dall’aspetto e dalla sostanza spesso aggressivi, la ACC indica la strada che intende percorrere la Volvo nel momento in cui si appresta a lanciare uno di questi veicoli: comunque “gentile” e rispettoso, pronto a mettere le persone al centro.



Il layout a quattro posti permette di prolungare il tunnel centrale, soprelevato, anche in mezzo alle due poltrone singole posteriori. E di alloggiarvi uno schermo piatto al servizio di chi viaggia dietro, che dispone anche di un frigobar e — al pari degli occupanti anteriori — di un impianto audio di alta qualità. Un trattamento business class per una vettura che, nonostante una massa comunque superiore rispetto a quella di un veicolo tradizionale (berlina o station wagon che sia) ne conserva le medesime caratteristiche di guida associate a livelli di consumo ed emissioni a loro volta non difformi. Innovazione, rispetto delle persone, attenzione all’ambiente. Ancora una volta, in una sola vettura, tutti i valori della Volvo.