TAGLIARE IL SUPERFLUO

Design Volvo e minimalismo

È tipico dello stile svedese concentrarsi sull’essenziale, valorizzandolo: cinque esempi in modelli ed epoche diversissimi. Ma con lo stesso DNA

Design Volvo e minimalismo | Tagliare il superfluo | Foto 01

Si parla spesso di design svedese, e lo si associa (giustamente) a quello della Volvo. Anzi, delle Volvo, visto che in quasi un secolo di vita il loro stile è cambiato tante volte, e tante ancora cambierà, a seconda di come mutano i gusti della clientela e le esigenze del mercato. C’è però una cosa immutabile, su tutte le Volvo: il senso del less is more (letteralmente, meno è più). Usare, cioè, la matita come una lama, per tagliare quello che non è veramente necessario ed eliminare inutili complicazioni estetiche e funzionali. Il primo esempio di questo minimalismo? L’iron mark: il simbolo alchemico del ferro impiegato come logo del marchio sin dal 1927. Qui lo vediamo in una delle sue numerose release, sulla griglia frontale di una PV53 del 1938: un semplice circolo con una freccia, che si prolunga idealmente in una diagonale. Impossibile pensare a qualcosa di più pulito e, insieme, evocativo.



Design Volvo e minimalismo | Tagliare il superfluo | Foto 02

La 1800 ES del 1971 porta al debutto una piccola rivoluzione nel settore delle station wagon: il portellone non c’è. O meglio, esiste, ma non ha la cornice: corrisponde al solo lunotto, che essendo privo di bordi può occupare tutta la luce libera della carrozzeria. In questo modo ci sono più visibilità in manovra, più luce in abitacolo, più leggerezza nella struttura. Tutto con un unico componente o, se volete, grazie all’abolizione di una sua sovrastruttura — la cornice — qui non giudicata necessaria viste le dimensioni medie del vetro. E tutto questo associando stile (il cristallo grande, le cerniere e la maniglia cromate) e funzionalità, in base al criterio che la forma segue sempre la funzione. Talmente furbo, e talmente bello, che sarebbe stato poi ripreso sulla 480 nel 1985 e sulla C30 nel 2006.



Design Volvo e minimalismo | Tagliare il superfluo | Foto 03

A metà degli anni ’80 le station wagon Volvo sono di gran moda. Merito della Serie 200 ma anche della Serie 700, appena lanciata. Il profilo di questa 760 GLE SW rappresenta in modo quasi didascalico il concetto di pulizia stilistica. Guardate quant’è lineare: la cintura è bassissima (quindi i vetri sono alti e luminosi), non ci sono elementi di disturbo lungo tutta la fiancata, il portellone scende quasi a piombo sul paraurti, giusto con una leggerissima inclinazione. La forma a cuneo del volume anteriore movimenta questo insieme così essenziale, dandogli quel tanto di slancio senza il quale non avrebbe avuto lo stesso fascino. Se le station Volvo hanno avuto tanto successo, lo si deve allo stile sobrio, elegante e funzionale di questa vettura. Che non ha nemmeno un fregio che non sia strettamente necessario.



Design Volvo e minimalismo | Tagliare il superfluo | Foto 04

Una consolle centrale fluttuante. Sottile come un TV LCD, quando gli LCD ancora non li avevano inventati o quasi (in realtà c’erano, ma essendo all’inizio erano costosissimi e parevano qualcosa di futuribile). È rimasta un caso unico nel design dell’automobile, la colonna centrale delle Volvo S40 seconda generazione, V50, C30 — nella foto — e C70 (a sua volta, seconda serie). Uno dei più begli elementi di stile mai visti all’interno di un’auto: pulitissima, ordinata, bella di fronte e ancora più di fianco, con quel profilo fine che non serviva solo a garantire un effetto “wow” (tutto sarebbe finito lì) ma apriva l’accesso a un portaoggetti a giorno nascosto dietro, in cui riporre piccole cose al riparo da sguardi indiscreti, come ad esempio le chiavi di casa. E con un fondello gommato di ritenzione facilmente asportabile così da poterlo pulire.



Design Volvo e minimalismo | Tagliare il superfluo | Foto 05

Con la EX30 la Volvo arriva alla massima espressione del minimalismo applicato allo stile dell’abitacolo. Il retrovisore interno non ha cornice, la maniglia apriporta è essenzialissima, il selettore di marcia è al volante, così da lasciare sgombero il tunnel. Ma, soprattutto, non c’è il classico quadro di bordo davanti al pilota. Ogni informazione visiva è concentrata sul tablet a centro plancia: perché duplicare molti degli elementi che già questo display consegna su un secondo visore digitale? Ed è così che una straordinaria pulizia stilistica si collega, per l’ennesima volta, a elementi di natura pratica: meno parti ci sono più è possibile contenere i costi e più si riduce l’impronta di carbonio, che si calcola non solo sulle emissioni allo scarico (che su un’elettrica come la EX30 sono pari a zero) ma sull’intero ciclo di vita, dalla produzione allo smaltimento. Ancora una volta, e più che mai, tagliare il superfluo è un grande vantaggio.



Si parla spesso di design svedese, e lo si associa (giustamente) a quello della Volvo. Anzi, delle Volvo, visto che in quasi un secolo di vita il loro stile è cambiato tante volte, e tante ancora cambierà, a seconda di come mutano i gusti della clientela e le esigenze del mercato. C’è però una cosa immutabile, su tutte le Volvo: il senso del less is more (letteralmente, meno è più). Usare, cioè, la matita come una lama, per tagliare quello che non è veramente necessario ed eliminare inutili complicazioni estetiche e funzionali. Il primo esempio di questo minimalismo? L’iron mark: il simbolo alchemico del ferro impiegato come logo del marchio sin dal 1927. Qui lo vediamo in una delle sue numerose release, sulla griglia frontale di una PV53 del 1938: un semplice circolo con una freccia, che si prolunga idealmente in una diagonale. Impossibile pensare a qualcosa di più pulito e, insieme, evocativo. \n\n\n\n

La 1800 ES del 1971 porta al debutto una piccola rivoluzione nel settore delle station wagon: il portellone non c’è. O meglio, esiste, ma non ha la cornice: corrisponde al solo lunotto, che essendo privo di bordi può occupare tutta la luce libera della carrozzeria. In questo modo ci sono più visibilità in manovra, più luce in abitacolo, più leggerezza nella struttura. Tutto con un unico componente o, se volete, grazie all’abolizione di una sua sovrastruttura — la cornice — qui non giudicata necessaria viste le dimensioni medie del vetro. E tutto questo associando stile (il cristallo grande, le cerniere e la maniglia cromate) e funzionalità, in base al criterio che la forma segue sempre la funzione. Talmente furbo, e talmente bello, che sarebbe stato poi ripreso sulla 480 nel 1985 e sulla C30 nel 2006. \n\n\n\n

A metà degli anni ’80 le station wagon Volvo sono di gran moda. Merito della Serie 200 ma anche della Serie 700, appena lanciata. Il profilo di questa 760 GLE SW rappresenta in modo quasi didascalico il concetto di pulizia stilistica. Guardate quant’è lineare: la cintura è bassissima (quindi i vetri sono alti e luminosi), non ci sono elementi di disturbo lungo tutta la fiancata, il portellone scende quasi a piombo sul paraurti, giusto con una leggerissima inclinazione. La forma a cuneo del volume anteriore movimenta questo insieme così essenziale, dandogli quel tanto di slancio senza il quale non avrebbe avuto lo stesso fascino. Se le station Volvo hanno avuto tanto successo, lo si deve allo stile sobrio, elegante e funzionale di questa vettura. Che non ha nemmeno un fregio che non sia strettamente necessario. \n\n\n\n

Una consolle centrale fluttuante. Sottile come un TV LCD, quando gli LCD ancora non li avevano inventati o quasi (in realtà c’erano, ma essendo all’inizio erano costosissimi e parevano qualcosa di futuribile). È rimasta un caso unico nel design dell’automobile, la colonna centrale delle Volvo S40 seconda generazione, V50, C30 — nella foto — e C70 (a sua volta, seconda serie). Uno dei più begli elementi di stile mai visti all’interno di un’auto: pulitissima, ordinata, bella di fronte e ancora più di fianco, con quel profilo fine che non serviva solo a garantire un effetto “wow” (tutto sarebbe finito lì) ma apriva l’accesso a un portaoggetti a giorno nascosto dietro, in cui riporre piccole cose al riparo da sguardi indiscreti, come ad esempio le chiavi di casa. E con un fondello gommato di ritenzione facilmente asportabile così da poterlo pulire. \n\n\n\n

Con la EX30 la Volvo arriva alla massima espressione del minimalismo applicato allo stile dell’abitacolo. Il retrovisore interno non ha cornice, la maniglia apriporta è essenzialissima, il selettore di marcia è al volante, così da lasciare sgombero il tunnel. Ma, soprattutto, non c’è il classico quadro di bordo davanti al pilota. Ogni informazione visiva è concentrata sul tablet a centro plancia: perché duplicare molti degli elementi che già questo display consegna su un secondo visore digitale? Ed è così che una straordinaria pulizia stilistica si collega, per l’ennesima volta, a elementi di natura pratica: meno parti ci sono più è possibile contenere i costi e più si riduce l’impronta di carbonio, che si calcola non solo sulle emissioni allo scarico (che su un’elettrica come la EX30 sono pari a zero) ma sull’intero ciclo di vita, dalla produzione allo smaltimento. Ancora una volta, e più che mai, tagliare il superfluo è un grande vantaggio. \n\n\n\n

Volvo EX30

Il nostro SUV più piccolo di sempre.