Trasporti eccezionali

Volvo e la logistica

Piazzali, navi, container, treni: come si è evoluto il modo di spostare le Volvo dagli stabilimenti di produzione ai saloni dei concessionari

Pensare una Volvo è sempre il primo step. Poi bisogna ovviamente costruirla, quindi portarla dal produttore al consumatore. A grandi linee, il processo vale per qualsiasi categoria merceologica. Giusto che nel caso di un’automobile la logistica è resa particolarmente complessa dalle dimensioni importanti del prodotto. Oltre che dalla globalizzazione dei mercati. In realtà la movimentazione di un “oggetto” tanto sofisticato comincia ben prima che le fasi costruttive siano completate: interessano anche i semilavorati. In questa immagine vediamo decine di scocche grezze della PV444 che, nei primi anni ’50, lasciano la fabbrica di Olofoström, affiancate due a due su un treno merci. Da lì sarebbero arrivate a Lundby per essere verniciate e montate.



Questo scatto rappresenta un passaggio successivo rispetto a quello illustrato poco sopra: le PV444 (siano nel 1955, dunque sono delle serie K) posano allineate in uno dei piazzali dello stabilimento di Lundby, Göteborg, in attesa di essere spedite negli Stati Uniti. È una foto doppiamente storica, questa, perché il lotto di circa cento esemplari di cui nell’inquadratura se ne vede circa la metà rappresenta la prima spedizione di Volvo verso gli Stati Uniti. Come si nota chiaramente dall’immagine, le vetture sono complete in ogni dettaglio di allestimento. Comprese le coppe ruota cromate, come se fossero di fatto già in preconsegna nei piazzali di una concessionaria di zona.



La fase cronologicamente successiva alla precedente è quella del caricamento sul mercantile che condurrà le PV444 oltreoceano. Nell’epoca in cui i container ancora non erano in uso le vetture venivano ingabbiate in queste complesse cremagliere che prelevavano ogni singolo esemplare sulla banchina issandolo sul ponte della nave con maggiori costi, superiore impiego di tempo e più rischi di danneggiare la carrozzeria. Prova ne sia che, in via precauzionale, le calotte delle ruote e i fari non venivano montati. Che si tratti di un lotto destinato agli USA lo confermano i white wall, ovvero i pneumatici a fascia bianca, irrinunciabili per i clienti americani.

La stessa situazione, ma ai nostri giorni. Gli elementi comuni sono che si tratta di una Volvo (e pure berlina) e che la vettura sarà consegnata in una zona del pianeta molto distante da quella in cui è stata costruita. Le tre — enormi — differenze riguardano il supporto logistico (un container, al quale la S90 è condotta con l’aiuto di un muletto: in ogni box ci stanno tre vetture), la sede produttiva e il mezzo di trasporto. La fabbrica è lo stabilimento cinese di Daqing, che da anni affianca quelli in Svezia, Belgio e Stati Uniti; una volta caricata sul suo stallo da viaggio, la Volvo non salirà più su una nave ma su un treno, il che permette di ridurre di due terzi i tempi di consegna. Specifici sistemi di ancoraggio evitano ogni contatto (e ogni movimento) tra le vetture e le pareti del container.



A proposito di treno. Per i mercati europei la Volvo ha da anni ridotto ai minimi termini il ricorso al trasporto su gomma, in modo da minimizzare le emissioni di CO2: la salvaguardia dell’ambiente non passa infatti solo dall’elettrificazione dei prodotti, ma anche dal modo di portarli in giro. A titolo di esempio: per trasportare le vetture costruite a Ghent, in Belgio, al deposito si stoccaggio italiano, la scelta della ferrovia ha tagliato del 75% la prouduzione di inquinanti. Ma anche a Charleston, in South Carolina, esiste una efficiente rete ferroviaria per distribuire le Volvo di produzione locale in tutti gli stati dell’Unione che, prossimamente, eliminerà del tutto il ricorso a motrici e semi-rimorchi stradali.